Covid-19: come le farmacie cambiano volto
Nell’immaginario collettivo, la farmacia è un’istituzione radicata dove il cliente paziente entrando sa di trovare il problem-solving di ogni situazione. Il Corona Virus ha messo questo ruolo al centro di un ciclone mediatico, trasformandole in una sorta di presidio-rifugio per i cittadini. Com’è cambiata la prospettiva di questa immagine che era considerata fino a quel momento statica e conservatrice? Come cambieranno i modelli di business e il ruolo stesso del farmacista?
A vedere bene tra febbraio e marzo 2020, le farmacie hanno vissuto un incremento esponenziale delle vendite, situazione storica che nessuno avrebbe mia potuto prevedere. Il boom nella vendita di farmaci di automedicazione (ingiustificata) e presidi di protezione (gel igienizzanti, mascherine e guanti), portò un afflusso di persone in farmacia senza precedenti.
Il lockdown ha poi visto la possibilità di avere anche la farmacia al centro dei bisogni dei cittadini, con consegne a domicilio ai più bisognosi. In primavera la crisi sanitaria era sicuramente nella sua fase conclusiva, ma iniziava a pesare in modo preponderante quella economica: la clientela spendeva per il necessario.
A un anno dall’inizio della pandemia, l’acquisto in farmacia è dettato solo da ciò che è strettamente necessario. Soprattutto perché i farmacisti hanno dovuto adeguarsi ai nuovi protocolli reagendo umanamente anche alle nuove dinamiche lavorative. I farmacisti non erano pronti a questo scenario, solo più tardi hanno iniziato a strutturarsi e capire come affrontare il Corona Virus anche con i dispositivi di protezione individuale.
In questa fase la farmacia è uscita da questa pandemia come il primo presidio sanitario sul territorio. Gli stessi medici di base a marzo, non visitavano più e demandavano alla ricetta elettronica le varie terapie. E questo momento risulta un cambiamento epocale poiché per il mondo della farmacia, da sempre legato a elementi oramai obsoleti come carta e fustelli, è stato un salto in avanti vertiginoso. Il paziente con il codice inviato dal medico trovava già in farmacia la ricetta. Inoltre il pronto soccorso non era più il primo riferimento dato che le persone temevano di poter contrarre il virus proprio lì, di conseguenza la farmacia si è ritrovata ad essere punto nevralgico di un meccanismo complicato.
Gel igienizzate e mascherine erano una richiesta difficile da gestire e soddisfare, materiale spesso reperibile all’estero e rivenduto a prezzi folli, con la risultante che il farmacista appariva un mero speculatore. In controtendenza, le consegne a domicilio sono state utilissime e vissute come un’ancora di salvezza. Finita l’emergenza, si è registrato un boom sui controlli in autoanalisi. La gente non si fidava ancora ad andare in ospedale o nei centri privati e quindi la farmacia era diventato l’ambiente ideale per alcune analisi (verificare il pannello lipidico, controllare la glicemia ecc.). Anche a livello nazionale, con “la farmacia dei servizi”, c’è l’idea che tutti questi esami vengano fatti in farmacia in modo tale da riversare negli ospedali solo chi ne abbia realmente la necessità.
È un servizio integrativo che funziona se in partenza c’è una rete territoriale ben strutturata: ove la farmacia eseguisse gli esami al paziente e comunicasse gli esiti al medico di base correlato, quest’ultimo potrebbe controllarli e prescrivere accertamenti senza andare a saturare gli ingressi ai pronti soccorsi o ai centri di analisi. È un’idea di sanità più versatile e trasversale.
Qual è ora il ruolo imprenditoriale della farmacia?
Farmaco e competenza, servizi, autoanalisi e giornate dedicate alla prevenzione. Non da ultimi i servizi integrativi, come le consegne a domicilio e la presenza sui social, che aiutano a farsi conoscere e a accrescere nuove strategie di marketing.